Solo local experience in Cina
- Antonio Castiello
- 25 set
- Tempo di lettura: 3 min
Bisogna fare un paio di premesse. Nel mondo che ci siamo confezionati, possiamo utilizzare le mappe anche per trovare le indicazioni verso l'ano di una vacca in Bangladesh. Oltrepassiamo oceani, scaliamo montagne e ci tagliamo le ginocchia su un volo Ryanair per vedere un posto che – con tutta probabilità – qualcuno su Instagram ci ha introdotto con le parole ECCO UN POSTO CHE NESSUNO CONOSCE MA CHE DEVI ASSOLUTAMENTE VISITARE.
È presuntuoso pronunciare la sentenza – io lo faccio spesso – là fanno così, se là è un posto che hai visitato tre giorni. Figuriamoci se quel posto ha più di un miliardo di abitanti.
Dopo aver messo tutte le mani avanti, lascio quattro cose vissute nelle mie due settimane in Cina e che il mio amico Tullio ama definire local experience.
La stanza del Super8. Io e Matilde trasciniamo i nostri zaini sotto i colpi del jet leg e dei 35° pechinesi, mentre Tullio ci naviga verso il nostro albergo. Ad ogni palazzo alterniamo timore e stupore al pensiero sarà questo? La rivelazione è un pessimo benvenuto. Un aroma di fogna viene fuori dalla doccia. L'unica finestra non si può proprio aprire perché dall'esterno cola qualcosa di simile alla morte e al catrame. Macchie di sangue, macchie di unto, macchie di non so che cosa e spero mai di scoprire. Al momento della prenotazione, Tullio aveva deciso di ignorare qualsiasi recensione che poteva preannunciare un soggiorno un po' croccante. Però oh, siamo negli hutong.
I bagni pubblici. Mi riportano ai tempi del liceo, quando entrare nel bagno equivaleva a rotolarsi nella cenere. Una pratica particolarmente amata dal maschio cinese – o meglio da quella minuta parte della popolazione che ho incontrato – è accendersi la sigaretta sulla tazza del cesso. Questo utilizzo di deodoranti al tabacco annulla di certo la puzza di piscio.
Alcuni di questi bagni non hanno porte che nascondono la persona nel consumare il suo bisogno. Mi sono a lungo chiesto se io – che tanto mi vanto di aver sviluppato l'antica arte del cacareovunque – riuscirei a farla mentre un uomo di fronte a me mi osserva mentre si accende una Marlboro.

Il massaggio ai piedi. Non sono una persona che concede i suoi piedi data la mia bassa resistenza al solletico. Con la promessa di una pedicure a tre euro però non ho saputo rinunciare al lusso. Entriamo in un centro dove per comunicare ci serviamo di un'anziana cliente. Lei mi chiede in francese, io le rispondo in italiano e poi lei traduce tutto in cinese ai proprietari. Facciamo un upgrade delle nostre intenzioni ed appariamo un massaggio ai piedi per circa dieci euro a testa. Dopo aver tenuto per cinque minuti i piedi a mollo nel tè comincia il nostro inferno. Non si era mica capito nella traduzione franco-italo-cinese che quello sarebbe stato un lavoro per riequilibrare il nostro Qi. Dopo questo abbraccio al dolore, abbiamo pure scoperto di avere disturbi del sonno, insufficienza renale e problemi al fegato.
L'ospedale ortopedico di Chengdu. Non è bello rompersi un alluce, figuriamoci se accade in Cina. Non per le condizioni sanitarie ma per il semplice fatto che se qualcuno ti deve spiegare un referto medico sarebbe bello lo facesse in una lingua che comprendi. Questa non è la mia sfortuna ma quella di Matilde. Le sue ciabatte di gomma – date in dotazione in una doccia pubblica – non si sono rivelate il miglior equipaggiamento per scendere le scale. Dopo chilometri in modalità zoppa e un livello di preoccupazione che schizzava tra è solo una botta e probabilmente dovrai amputarlo, facciamo una nottata frizzante al pronto soccorso di Chengdu. L'alluce è rotto ma nonostante l'interprete cinese non abbiamo mica capito quale osso.




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