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La divisa russa-thai

  • Immagine del redattore: Antonio Castiello
    Antonio Castiello
  • 30 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 1 ago

La prima volta che ho preso l’aereo avevo quattordici anni. Era ottobre e nell’estate precedente avevo subito gli effetti di una dieta che tutti i miei parenti chiamavano lo sviluppo. Dai dieci in su avevo provato diversi dietologi ma mentre continuavano a intascarsi i soldi di mia madre,  non mi avevano detto mica che a me bastava crescere. Non so perché o come, ma al termine di quell’estate non ero più grasso. Le professoresse delle medie preoccupate, avevano chiamato a casa pensando soffrissi di qualche disturbo. Niente affatto, era un miracolo preannunciato. Il magico sviluppo.

Il mio primo aereo era diretto in Egitto, a Sharm El Sheik. A quei tempi nel mio paese si organizzavano i viaggi di gruppo. Ti ritrovavi così nel tuo stesso paese ma da un’altra parte del mondo. Prima di quel viaggio, c’erano le settimane bianche dove si partiva coi bus carichi al limite dell’implosione. Io quei viaggi li odiavo perché duravano almeno dodici ore e puntualmente al primo tornante di montagna mi veniva da vomitare. Il pullman si doveva fermare per permettere a questo piccolo bimbo grasso di tirar fuori l’anima. Mia madre che mi teneva i fazzoletti di fianco e tutta la gente dal bus guardava lo stronzo che aveva fatto fermare il bus a cinque chilometri dall’arrivo. Io odiavo pure sciare. Odiavo gli scarponi così stretti. Una volta mio padre me li ha pure messi al contrario. Credo che la volta in cui sono andato a sbattere contro un palo dello skilift e mi son fatto portare in ospedale dal gatto delle nevi, sia stato solo un tentativo di autosabotaggio per passare quella settimana bianca lontano dagli sci. Confesso: avrei potuto rialzarmi benissimo da solo.

Oggi sciare non mi dispiace affatto. Nemmeno stavolta me l’avevano detto che mi bastava crescere. Comunque, la prima volta che ho preso l’aereo era anche la prima volta per mia madre. Io ero eccitato e contento nel mio nuovo corpo snello. Mia madre si stava cagando addosso. Pensavo che sarei stato io a mantenerle i fazzoletti quella volta. L’aereo però non avrebbe avuto pietà, e non si sarebbe di certo fermato.


Sharm El Sheik era per me un agglomerato di resort. Il nostro aveva cinque piscine a diverse temperature, una spiaggia e tre ristoranti. Bisognava farsi sempre i chilometri per raggiungere il mare. Il mio ricordo più lucido erano le partite di calcio e pallanuoto. Ci si divideva per nazioni. Una sconfitta pesante a calcetto contro l’Egitto. Avevano troppa gamba per noi. A pallanuoto ce la giocammo con la Russia. Nella piscina si toccava quindi non serviva a un cazzo saper nuotare. L’importante era saper buttare le mani e capì che in Russia lo sanno fare benissimo. Non mi ricordo mica il risultato ma il grosso braccio del portiere russo attorno al mio collo sì. Gli avevo lanciato giusto due schizzi d’acqua per confondere la vista – robe da ragazzini quattordicenni –  e quello mi acchiappa con le mani da piovra e mi tiene sotto. È forse il punto più vicino alla morte che abbia mai toccato. Riesco a sguazzare via e m’accorgo che tutto il resto dei giocatori non si è proprio interessato della mia quasi morte. Manco l’animatore egiziano che faceva l’arbitro. Non ne faccio un dramma, in fondo tutti si stavano menando con tutti.


Questi ricordi di prime e quasi ultime volte  – imballati comunque in una patina nostalgica – mi vengono in mente quando sto bruciando su una spiaggia di Khao Lak. Gli anni sono passati, conservo ancora un corpo abbastanza magro e ormai non faccio più settimane bianche. Ho incontrato molti russi nel frattempo e per fortuna nessun altro ha cercato di uccidermi. Qui in Thailandia ce ne sono proprio un casino. Mi lascio ad un’effimera considerazione.  Posso riconoscerli tutti con un’unica e sola prova inconfutabile. Mi basta davvero un solo indizio a darmi la certezza che sotto i miei occhi c’è un esemplare di maschio russo. Una divisa. Una casacca bianca di pseudo lino a maniche lunghe col cappuccio. Non so che nome dare a questo indumento. Non è una felpa. Non è una camicia. È una pezza in bella mostra in tutti i mercati thai in cui ho messo piede. Non oso nemmeno chiedere il prezzo perché la mia testa continua a partorire tutte le lecite ragioni che me ne impediranno l’acquisto. È il merchandising esclusivo del pacchetto vacanze Mosca-Bangkok. Tutte le taglie sono progettate per il solo e vero maschio russo. Stampato a fuoco sull’etichetta, c’è un messaggio ben preciso. Solo per chi picchia forte a pallanuoto.


Disponibile anche versione femminile
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